Il bivio dello Zimbabwe

Il post è apparso il 1 luglio sull’Huffington post (https://www.huffingtonpost.it/monica-luongo/il-bivio-dello-zimbabwe_a_23472195/), qui leggermente modificato.

 

Indicatori di ricchezza: le lunghe file alle casse dei supermercati con clienti pieni di buste. Indicatori di povertà: adulti e bambini senza scarpe, assenza di animali domestici o cani randagi (il che significa che non ci sono rifiuti a sufficienza per poter sopravvivere). Anche questa è Africa, dove può accadere – sebbene raramente – che qualcuno ti avvicini mentre sali in auto per offrirti un minore da comprare.

Lo Zimbabwe, ben lontano dalle nostre coste, ma non per questo esente da migrazioni verso altri paesi africani, si avvia a un voto decisivo il prossimo 30 luglio, il primo dopo la deposizione di Robert Mugabe, lo scorso 17 novembre, per mano dei militari e di una robusta e trasversale coalizione politica che ha deciso di porre fine al suo regno durante oltre trent’anni “mettendo in sicurezza” presidente e famiglia. La deposizione è stata chiamata “soft golpe” perché nessuno si è fatto male o è morto e le elezioni che si approssimano sono ufficialmente battezzate come “harmonized elections”, perché per la prima volta la popolazione si augurerebbe una svolta non violenta nella vita del paese.

Per comprendere cosa succederà domani occorre fare un passo indietro, al 2009 quando Mugabe, a capo dello stato e del partito ZANU PF, firmò un accordo di co-gestione del paese con il suo ex primo ministro Morgan Tsvangirai, leader del principale partito di opposizione, MDC. In quell’anno le elezioni furono segnate da discutibili e contestati risultati, numerose uccisioni di candidati (anche del partito di maggioranza ma appartenenti a fazioni differenti), lunghe liste di epurazione da parte di servizi segreti e polizia. Da allora a oggi la situazione è decisamente migliorata: dopo la morte di Tsvangirai nel febbraio di quest’anno, il leader di MDC – che ha formato una coalizione con altri partiti – è Nelson Chamisa, mentre l’attuale presidente e candidato Emmerson Mnangagwa ha all’interno del suo partito una discreta opposizione di giovani leve – i G40 – che però ha affidato la propria leadership a Grace Mugabe, come a dire meglio usare volti noti. La partita principale si giocherà sul superamento della crisi economica di un paese quasi in bancarotta, costretto a usare come moneta di scambio i dollari USA e il rand sudafricano, mentre la moneta locale ricorda i tempi del peso convertibile cubano.

Lo Zimbabwe respira un’aria più pulita. Le persone si dicono più libere di esprimere le proprie opinioni e i candidati di partecipare alle elezioni (i partiti in lista sono 134 e i candidati alle presidenziali sono 23). Ciò non ha impedito che la scorsa settimana una bomba durante un comizio presidenziale nella seconda città del paese, Bulawayo, uccidesse varie persone e ferisse persone vicine al presidente.

Afrobarometer (http://afrobarometer.org/countries/zimbabwe-0), l’istituto di ricerca e statistica che gode dell’appoggio dell’istituto per la giustizia e riconciliazione (IJR) ha effettuato un sondaggio da marzo a maggio scorsi per rilevare quanto fosse ampia la fiducia nel risultato del voto e non solo: il 56% degli intervistati dubita della credibilità degli stessi; allo stesso tempo il 75% è convinto che chi andrà a votare avrà in mano lo strumento per cambiare le sorti del paese. Sorti legate all’alto tasso di occupazione, alla scarsità di energia elettrica, al mancato sfruttamento delle risorse naturali e alle ampie aree dove la mancanza di acqua non consente lo sviluppo dell’agricoltura e obbliga a massicce importazioni di materie prime, come il mais. Il potere dei ricchi è strettamente legato al governo e all’appartenenza tribale, un elemento che l’Occidente ha pur a lungo indagato, ma che fatica a comprendere quando si tratta di capire come si muove la politica in tutta l’Africa (il caso libico docet).

In ogni caso la registrazione dei votanti è avvenuta con sistemi avanzati, come il rilevamento biometrico e la conta dei voti avverrà a più livelli (il sistema elettorale prevede l’elezione del presidente, dei parlamentari e degli amministratori locali) per garantirne la massima trasparenza si spera. Gi aventi diritto al voto sono poco più di 5milioni su un totale di circa 16 milioni di abitanti. Vincerà chi otterrà il 50%+1 dei voti. In molti però non gradiscono la presenza di un agente di polizia in ogni seggio, perché le forze dell’ordine qui spaventano chiunque grazie a un non felice passato e alla permanente presenza dei servizi segreti e in alcune zone di milizie assoldate tra gli stessi cittadini per il controllo delle aree più remote.

Paese di contraddizioni e melting pot, lo Zimbabwe: pochi i musulmani, numerose le chiese evangeliche e pentecostali, ma non mancano i cattolici (donne e uomini vengono battezzati con nomi africani e cristiani non senza bizzarrie, c’è anche un Robert Baggio) e le missioni sono luoghi rari di pace dove le organizzazioni non governative che si occupano di diritti umani e sviluppo locale trovano spazio per lavorare.

Infine le donne. Motivate, decise a partecipare al voto, consapevoli. Peccato che le poche candidate siano relegate in una lista separata e capolista-fantoccio, sebbene la Zimbabwe Gender Commission abbia duramente condannato la loro discriminazione e esclusione dalla grande scacchiera della politica.