Living Pakistan/La candidata c’è ma non si vede

Altro che propaganda sessista nelle nostre elezioni regionali. Le candidate di cui parlo hanno deciso di non mostrare il loro volto durante la campagna elettorale: al loro posto quelli di mariti, padri, fratelli, che hanno invitato gli elettori a sostenere mogli, figlie, sorelle. Eppure si sono candidate e hanno corso un bel rischio.

Qui non si scherza, è il Khyber Pakhtunkhwa bellezza, detto KP, la provincia più rognosa del Pakistan, conquistata dall’ex giocatore di cricket Imran Kahn, che con il suo partito PTI (Pakistan Tehreek-e-Insaf) sta creando non pochi problemi al governo centrale. Un uomo liberal, o almeno lui si dice così. E’ la provincia dei talebani, e la capitale Peshawar è il ponte di testa con l’Afghanistan, dove ci scambiano armi, droga, ostaggi e terroristi. Così distante dalle altre culture locali, che persino l’inizio del Ramadan non rispetta quello del resto del paese. Per comprendere e spiegare chi è un Pashtu non basta una enciclopedia.

Sta di fatto che dopo le elezioni nazionali del 2013 e dopo dieci anni di buco, ieri e oggi sono in corso le elezioni provinciali in KP, il 7 maggio si sono svolte quelle nei distretti. A oggi si contano 11 morti e 62 feriti tra poliziotti e staff elettorale, non proprio una atmosfera tranquilla si direbbe. Come sempre, a pagare il prezzo più alto sono state le donne. Da molti giorni gli organi di stampa parlano del distretto del Lower Dir (240.000 uomini aventi diritto al voto, 190.000 donne), dove il partito islamista JI (Jamaat-I-Islami) ha “scoraggiato” le donne dall’esercitare un diritto sancito dalla costituzione, appoggiato dalla jirga (consiglio tradizionale locale). Tra le ragioni della proibizione: la promiscuità proibita tra i due sessi (ovvero no a cabine differenti nello stesso seggio), l’assenza o quasi di seggi separati per le donne.

I numeri come sempre sono di conforto e aiutano a capire ciò che lascia molti (anche qui in Pakistan) a bocca aperta. Negli anni precedenti il 2013 la quota di seggi riservata alle donne nel parlamento locale era calata dal 15 all’11%, riportata al 33 con le elezioni nazionali, grazie alle pressioni di PTI e JI: quest’ultimo ha spinto molto per la partecipazione femminile alle elezioni nella provincia del Sindh (capitale Karachi) ma l’ha fermata in KP. Facile immaginare perché: dove ci sono i conservatori si reprimono i diritti delle donne, dove ci sono innovatori si incoraggia, un voto è pur sempre un voto, suvvia. Sempre nel Lower Dir, la circoscrizione PK95 aveva solo due seggi per le donne; in quella di Kayal nessuna donna si è candidata; in quella di Adenzal i seggi per le donne sono stati occupati da candidati dell’altro sesso; in tutta la provincia su 1.226 seggi (396 per le donne) i partiti hanno presentato solo 464 candidature femminili. In generale la partecipazione femminile al voto rispetto agli uomini è dell’11% in Sindh e Punjab, del 2.5% in KP.

Le associazioni nazionali di osservatori e numerose autorità locali hanno presentato un documento congiunto chiedendo l’annullamento delle elezioni del 7 maggio per evidente violazione della legge elettorale e dei diritti umani universali come è quello del voto. Unione Europea e UNDP hanno stilato un documento congiunto richiamando al rispetto dei criteri di trasparenza e partecipazione nel processo elettorale, così come già raccomandato nel Rapporto Finale della UE dopo le elezioni del 2013. La Commissione Elettorale Nazionale (ECP) per contro si è detta oggi soddisfatta per l’andamento delle elezioni e le performances degli ufficiali addetti alle operazioni di voto.

Molto più numerose le ragioni di questa violenta discriminazione, culturali, sociali e di carattere tecnico.

  1. La registrazione dei votanti. Quelli di noi che osservano da anni i processi elettorali sanno che si tratta di un passaggio cruciale, che avviene alcuni o pochi mesi prima del voto. In Pakistan il NADRA (National Database & Registration Authority) dichiara che solo il 60% delle donne possiede un documento di identità contro l’80% dei maschi; e senza di esso non si vota, come di consueto.
  2. Non ci sono abbastanza donne nelle forze di polizia da garantire la sicurezza nei seggi per le donne.
  3. In generale non ci sono abbastanza seggi per gli aventi diritto al voto, questo contribuisce in maniera chiara alla mancanza di seggi differenziati per sesso.
  4. In Pakistan, ma soprattutto in KP, le donne dipendono economicamente dagli uomini, dunque mangiare e mantenere i figli sono per forza di cose due necessità che sovrastano il desiderio di  partecipazione alla cosa pubblica.
  5. In generale la cultura Pathan (sta per talebano in urdu) è la più conservatrice di tutto il paese e le discriminazioni contro le donne sono così evidenti, costrittive e punitiva da scoraggiare e auto-delegittimare la maggioranza delle stesse, inutile dire unitamente al bassissimo livello di istruzione.

La responsabilità di questa orribile esperienza non può essere in ogni caso addossata alla singola provincia, ma deve essere accolta come una istanza nazionale da tutto il parlamento; dalla ECP che in quanto corpo “neutro” dovrebbe garantire alle e ai cittadini un processo trasparente per esercitare il proprio diritto al voto.

Più in generale e parlando della mia esperienza di vita nel paese, è triste dirlo ma non sono stata meravigliata da quanto è successo in KP. Anche in luoghi meno oppressivi la vita quotidiana delle donne mi sembra sempre di più una faticosa battaglia per uscire di casa, trovare un lavoro, pensare a loro stesse come esseri umani indipendenti, magari anche secolarizzati o almeno non soffocati dalla politica e dalla religione, quando usata come arma coercitiva da uomini che si dicono finanche liberali, che sognano di fantasie occidentali, che hanno amanti a cui chiedono fedeltà assoluta, che proibiscono alle donne di uscire di casa da sole anche nelle grandi città, di lavorare, che ancora sognano un harem con internet e schermi 3D, ma che rimarranno schiacciati dal loro stesso machismo travestito da tradizione.