Se la vita è un sacco di pulci

La seconda stagione di Fleabag (letteralmente sacco di pulci) rovescia sulla/o spettatrice/ore l’inquietudine che segue a una presa di consapevolezza della propria realtà e quella del mondo, simile alla morsa (angst secondo Freud) che in alcuni momenti coglie l’agnostico di fronte alla consapevolezza del nulla che segue alla morte.

No, non stiamo esagerando: se lo reputassimo migliore in cultura e sensibilità, suggeriremmo al senatore Pillon di guardare i sei episodi della serie già pluripremiata della BBC, scritta e interpretata da Phoebe Waller-Bridge (che continua a mietere successi anche con la seconda stagione di Killing Eve). Perché parla della famiglia, così come può molto facilmente essere e trasformare a volte le sue creature in mostri. Senza scomodare Dostoevskij e senza spoiler, Fleabag (il suo nome non viene quasi mai fuori) è una giovane donna londinese, che cerca di sopravvivere a se stessa e alla vita con una spregiudicatezza non priva di sofferenze. Ha perso una amica e non riesce ad elaborarne il lutto, continua a gestire quello che era il loro caffè e nutre affettuosamente un porcellino d’India. Cerca sesso e ne trova quanto ne vuole: quello ottimale, quello che viene da uomini disturbati, e quelli che non capiscono perché lei ami masturbarsi mentre segue un comizio di Barak Obama (prima stagione). Come Kevin Spacey in House of cards, Fleabag interrompe le sue conversazioni voltandosi verso la camera come se fosse nel setting analitico ed esprime i suoi commenti direttamente allo spettatore. 

Il volto drammatico di Fleabag si svela quando si alza il sipario sulla famiglia che Wikipedia definisce teneramente “disfunzionale”: c’è una sorella manager che vomita la sua conflittualità disturbata, il di lei marito che molesta la cognata; una madre morta che con la sua scomparsa si è portata via anche la sapidità del marito; una di lui compagna giunta dopo – la strepitosa Olivia Colman, già premio Oscar per La Favorita di Lantimos – che fu madrina delle ragazze e ora si prepara a essere seconda moglie.

I dialoghi pungenti e crudeli, sarcastici e caustici, non fanno sconti a nessuno dei personaggi: se la sorella di Fleabag la ama, l’espressione migliore è l’attacco, se la stessa Fleabag ama qualcuno, lo pratica in silenzio, scegliendo una relazione impossibile, come fosse la cosa meno concreta da raggiungere (quanto è più facile giocare a colei che rompe gli schemi).… Denigrare è ruolo degli altri personaggi, come il già menzionato cognato, con il quale ogni dialogo è scandito da continui ma quantomeno sinceri “fuck you!”.

Insomma, l’anaffettività e l’incapacità di comunicare sono la morsa narrativa di Fleabag, senza infingimenti. Che il volto simbolicamente scomposto della famiglia occidentale così come si mostra oggi di fronte a chi vuol mascherarla dietro valori che non corrispondono più alla realtà. Il femminismo e libertà di Fleabag diventano allo stesso tempo uno strumento di svelamento e un’arma di rivincita personale, che tiene insieme i pezzi del nostro ego in eterna battaglia.