C’è un velo, drizzate le orecchie

Lunedi sera ascolto SkyTg24 mentre cucino: la notizia principale riguarda il suicidio di una donna marocchina a Roma, che ha prima ucciso i sue figli mentre dormivano. Il marito ferito dalla stessa moglie era andato in ospedale (lasciando i bambini a casa con lei?), dicendo di essere stato aggredito di strada, mentendo dunque “per proteggere la moglie”. Una terza figlia è ancora gravissima dopo aver subito un lungo intervento chirurgico. L’indagine è appena iniziata, capiremo in seguito come si è consumato questo dramma familiare.

Mentre ascolto, la conduttrice del notiziario dice: e ora un commento di una vicina di casa che fa drizzare le orecchie: la donna, sempre vestita all’occidentale negli ultimi tempi indossava il velo.

Oggi sul Corriere della Sera leggo: “Era cambiata, indossava il velo”.

Ora, è fuor di dubbio che una donna che arriva a uccidere i propri figli (se lei è stata) per poi suicidarsi è un soggetto fortemente malato, al punto da forzare il più potente degli istinti di sopravvivenza, la protezione della prole. Quello che mi sciocca profondamente è la lettura superficiale, misogina e islamofoba che travalica ogni dato di realtà offrendo a chi legge e ascolta una ipotesi interpretativa fuorviante e discriminante. Le donne musulmane, è stato detto fino alla nausea, portano il velo perché è un simbolo della loro identità, lo indossano alle prime mestruazioni, ma a volte lo fanno anche da bambine per imitazione oppure perché in alcuni paesi lo impone la divisa scolastica (Afghanistan, per esempio). Il velo è stato ed è visto in occidente come il simbolo della oppressione femminile; il che è per numerosi aspetti indubitabile e evidente, non certo per il velo, quanto per il mancato accesso delle bambine alla istruzione, la mancata retribuzione delle contadine nella maggior parte delle aree rurali, i matrimoni precoci, le donne offerte come merce di scambio nelle dispute relative alla terra e al bestiame, la limitiazione della libertà personale.

Una lunga lista di cose orribili, dunque, che con il velo però non hanno niente a che spartire. Ciò che mi repelle davvero è la superficialità con cui in tempi così delicati per i rapporti tra mondo islamico e paesi occidentali, in cui molti donne e uomini in paesi come Siria, Iraq, Nigeria rischiano la  vita a causa del fondamentalismo, si possa far un uso così superficiale e irresponsabile delle parole.

Forse che una donna, nata musulmana e vissuta in Italia a lungo, torna nel suo paese d’origine e decide per un qualunque motivo di tornare a indossare il velo, può essere segno di uno scompenso psicologico? O piuttosto o magari la donna stava male da tempo e non aveva nessuno con cui condividere un dolore e cercava conforto nella sua religione? E cosa dovremmo fare noi lettrici e lettori una volta “drizzate le orecchie”, denunciare alle forze dell’ordine chi porta il velo? Pensare che dietro ogni madre velata ci sia una persona malata di mente?

Per capire cosa sta succedendo nello scontro tra i due mondi ci vorranno molti anni, nella complessità delle culture, delle politiche mondiali, nello scacchiere inestricabile di chi sta dietro il fanatismo islamico, nell’ignoranza perseverante che lo alimenta. Chi ha il dovere di scrivere e raccontare la cronaca dovrebbe passarsi una mano sulla coscienza prima di alimentare fuochi inutili e dannosi.