Del Tempo

tempoFuso orario. Cinque viaggi intercontinentali in sei mesi: anche se il fuso orario non è immenso due ore tre ore avanti e indietro fanno il loro effetto. Quando torno in Italia dal Pakistan e dagli Emirati dormo per un giorno intero; se lo scalo è a Dubai ci sono due ore di differenza con il Pakistan e una con l’Italia; ma se mi fermo a Doha c’è un’ora in più. Così sbaglio sempre l’orario dell’imbarco e la notte non riconosco più il letto  dove dormo, e metto sempre i piedi dalla parte sbagliata.

Fermarsi e non riuscire più a farlo, forse sta diventando una malattia. Il fuso orario limita anche le mie relazioni con l’altro continente: tre ore fanno la differenza se tu vai a letto a mezzanotte, vuoi chattare ma chi è dall’altra parte dorme già profondamente; per contro, quando ti svegli, sul tuo telefono appaiono numerosi i buongiorno.

Tempo e cultura. Ogni cultura ha il suo tempo. Nel paese in cui ormai vivo ancora non ho imparato che un appuntamento preso non è cosa certa. Con il mio amico T., che adoro, l’unica ragione di scontro è costituita dal suo mancare gli incontri, cambiare destinazione prescelta, lasciare la città senza salutare per poi riapparire, sorprendendo. Una sera lui, che è molto più calmo e paziente di me, mi ha spiegato per far fronte alla mia furia, che l’Occidente e l’Oriente (diciamo pure alcune parti del mondo islamico) hanno due approcci differenti al tempo: il nostro – dice- è uno scorrere l’arco del tempo senza poterlo cambiare: sin da piccoli veniamo avviati all’Islam, le nostre madri scelgono per noi studi e fidanzate, facciamo figli, difficilmente cambiamo lavoro. Per contro, il nostro farsi quotidiano si ribella: cambiamo itinerari, decidiamo di andare a cena con amici e poi ne scegliamo altri, oppure ne troviamo alcuni lungo la strada che ci seguono; partiamo, arriviamo, abbiamo orari di pranzo e cena che mutano e possono ripetersi all’infinito. Voi, invece, siete padroni della vostra vita: scegliete gli studi, vi sposate e divorziate, vivete liberamente il sesso. Ma siete schiavi della quotidianità: puntualità, traffico, tempo libero e piacere sono scanditi dal medesimo severo orologio. Questa conversazione è avvenuta alcuni mesi fa: io ci penso ancora ogni giorno, cerco di capire e coglierne il buono da entrambe i lati, ma se lui arriva tardi ancora mi arrabbio. Il tempo – quello di un attimo – ci coglie distanti.

Il tempo del rientro. Quando torno a casa, il tempo si accorcia: tra una partenza e l’altra c’è una settimana. A stento riesco a fare il bucato, non disfo nemmeno la valigia, scavalco buste e scarpe sparse sul pavimento, tanto poi devo riandare, dico a me stessa. Ma se mi affaccio per un momento in giardino, la pianta a cui non ho prestato cura, il gatto che non ho spazzolato, i limoni che ancora non ho fatto in tempo a raccogliere mi mettono una tristezza infinita. Mi sento come il coniglio di Alice, non ho mai tempo. Le amiche e gli amici mi chiamano, mandano messaggi, quando ci vediamo per una cena mettiamo il tempo in una centrifuga per poterci dire tutto. Le chiamate che non sono riuscita a fare sono le ultime prima di spegnere il telefonino perché poi si decolla.

Al tempo non si comanda, è il pensiero che sto cercando di far mio. Scrive Marguerite Yourcenar ne Il tempo grande scultore: “Il tuo corpo composto per tre quarti d’acqua, più un poco di minerali terrestri, un pugno scarso. E questa grande fiamma in te di cui non conosci la natura. E nei tuoi polmoni, presa e ripresa di continuo dentro la gabbia toracica, l’aria, l’ossigeno, questo splendido straniero, senza di cui non puoi vivere”. C’è altro?