Narrative di guerra/ Branding Pakistan

E’ possibile vendere un paese come un prodotto commerciale? Ovvio che si. Il processo vale per i beni di consumo, le persone, i marchi famosi, perché no per un paese?

Cosa succede però se quel paese si chiama Pakistan? Ne hanno parlato nei giorni scorsi a Islamabad in un convegno organizzato da Brand Pakistan (http://brandpakistan.pk).

Il Pakistan è un paese di incomparabili bellezze naturali: laghi, montagne, una ricca fauna. E naturalmente siti archeologici affascinanti (come la città di Multan, solo per fare un esempio, e Lahore che lascia senza fiato), culture differenti e mescolate, feste popolari colorate, gare di hockey e combattimenti di tori….Così per alcuni aspetti è comprensibile il desiderio di molti di sognare per il Pakistan una politica per il turismo che contribuisca a fornire una differente e positiva immagine del paese.

Già, molto interessante. Ma come si fa a costruire un brand appetibile per i turisti quando, nell’ordine: è difficile ottenere un visto per turismo, è impossibile andare in giro nei parchi naturali del nord, il rischio di trovarsi coinvolti casualmente in un attentato è elevata in alcune aree. Più semplicemente: non si può bere così facilmente un bicchiere di birra o tenersi mano nella mano senza essere guardati come marziani. Con franchezza: perché un turista dovrebbe essere tentato da un viaggio in Pakistan? Pur comprendendo, ripeto, occorre essere franchi e dire che dopo l’11 settembre e ancor prima dopo l’affermazione dei talebani in Afghanistan, la percezione e non solo – la vita quotidiana direi – dei paesi dove vivono i talebani è disastrosa, perché l’identificazione di ogni cittadino con i terroristi è diffusa e generalizzata. Una immagine forte e vivida in tutto il mondo, non potrebbe essere differentemente. E in questo il governo certo gioca la sua parte, non facilitando la veicolazione di una immagine positiva del paese all’estero: basta guardare i giornali e la tv per studiare la reazione di fronte a quanto è accaduto nei mesi scorsi in occidente ha avuto una reazione in  molti casi giustificativa delle azioni terroriste, e la risposta agli attentati degli integralisti verso la stessa popolazione si limita a un primo giorno di condanna senza conseguenze alcune.

Allo stesso tempo il Pakistan è forte nel business: esporta frutta, pelle, cotone, importa tecnologia e beni secondari. Molti gli stranieri che lavorano e fanno affari nel paese e/o servendosi di mediatori azionali. Sono convinta che il migliore branding che il Pakistan può offrire dovrebbe basarsi sulla promozione degli affari, dell’import export e col tempo sperare in un miglioramento della condizione interna con conseguente e molto lenta trasformazione della percezione complessiva del paese.

C’è però un punto interessante che è emerso nel corso del convegno e che mi sembra essenziale alla costruzione del “national branding”. Uno dei relatori ha posto in quella sede una domanda cruciale: per poter essere credibili e promuovere il nostro paese all’estro – ha detto  – bisogna esserne fieri. Siamo noi orgogliosi di essere pakistani?

Domanda niente affatto facile. La mia impressione, che si fa più forte col passare del tempo, è che il paese in cui vivo è fiaccato da una un sentimento di forte insoddisfazione, con conseguente disistima dei soggetti femminili e maschili, e ciò è conseguenza di molteplici fattori: instabilità interna, povertà, generica sfiducia nell’azione di governo, ignoranza, estrema difficoltà nelle relazioni interpersonali. Non c’è uomo che io incontri in Pakistan che non ci tenga a specificare immediatamente “Io non sono come gli altri Pakistani”. A parte il fatto che questo non è vero – ma ovvio che parlo da straniera – mi colpisce enormemente questo discostarsi dall’identità profonda di appartenenza alla propria terra. Da italiana, vengo un paese pieno di contraddizioni, in assenza palese di legalità in numerosi settori della società, di corrotti e corruttori e così via, ma non mi sognerei mai dire ad alcuno: non sono come le altre italiane.

Qual è dunque l’immaginario che alberga nei cuori pakistani? Il sogno di espatriare, di pensare che diventare ricchi li possa rendere più liberi, rimanendo comunque prigionieri di relazioni familiari che pesano come catene.

Se non si è felici di essere nati in Pakistan, se ci si affretta a dire al primo straniero che si incontra per impressionarlo favorevolmente e distrarlo dai suoi stereotipi che non si è “come tutti gli altri”, diventa davvero improbabile promuovere una immagine differente e distante da quella che abita il proprio cuore.