Fenomenologia della brava puttana
Chi è la brava puttana?
Non la donna che lavora con spiccate doti professionali, non la bella e provocante signora di turno. La brava puttana si chiama Riley, ed è brava a esercitare la sua professione perché “deve”. suo marito l’ha abbandonata all’improvviso perché farmaco dipendente e lei ora è sola con due bambini.
Riley è la protagonista di The client list, serie tv ispirata all’omonimo film e trasmessa da Netflix. La serie è datata, ha quasi otto anni. Vederla oggi ripensando al #metoo ma anche alle produzioni americane contemporanee che raccontano il porno in un abaco di possibili scenari (da Sense8 a Sex Education), pure mi ha fatto riflettere.
Torno alla trama. Riley – cittadina della middle America con il villino con la porta di ingresso aperta dalla quale tutti entrano e escono come fosse un pub – ha un diploma in fisioterapia e finalmente piena di debiti riesce a trovare un posto in un salone di bellezza. Ambiente raffinato e clientela selezionata. Riley non guadagna però come le altre colleghe, fino a quando ne capisce la ragione: le altre offrono ai clienti servizi speciali e ben remunerati. Lo scenario amletico è dunque aperto: che fare? Salvare etica e decenza e restare povere in canna, oppure gettare entrambe alla ortiche e trasgredire per salvare la famiglia dalla bancarotta? La risposta è la sostanza degli episodi della serie: nelle camere di ogni ragazza entrano clienti dai gusti originali: chi si fa calpestare la schiena da scarpe di marca, chi chiede un travestimento da hawaiana, chi il tradizionale leather da poliziotta sculacciona. Ciò che i clienti hanno in comune per la protagonista e lei per loro è il livello di confidenza. Come nella più classica delle sceneggiature da b-movie, la brava puttana non si limita solo a eccitare e masturbare i clienti (nella soft porno serie si infilano le mani sotto un lenzuolo ma le ragazze non si toccano), ma ne accoglie le confidenze, le sofferenze, i dubbi sentimentali. Così come la direttrice del centro – praticamente una maîtresse travestita da imprenditrice – protegge le “sue” ragazze tenendo una lista dei clienti che chiedono servizi speciali: il capo della polizia, il politico, il giudice.
Il plot, che si arricchisce di condimenti classici, come il cognato che si innamora di Riley, il marito che torna all’improvviso, gira in realtà intorno al tormento morale della protagonista che, quando non più in grado di mantenere il segreto, spiega le ragioni umane e benefiche della sua scelta.
È dunque lei l’archetipo della brava puttana: colei che è brava a fare sesso per denaro ma solo perché è obbligata dal destino, e al tempo stesso soddisfatta del suo lavoro perché perché fa del bene attraverso l’opzione “sportello pronto ascolto”.
L’approccio di The Client list soddisfa una grande fetta di pubblico: quella che ama il soft porn, ed è moralista quanto basta per giustificare una sceneggiatura un po’ hard purché inquadrata in un confortante scenario socio-familiare (la brava puttana che mette a letto i bambini con le favole è un must, come l’amica obesa e generosa che sparge consigli all’universo). Lo sguardo della camera è inevitabilmente maschile: se vestiti succinti e tette prosperose abbondano, dei clienti nudi non vediamo nulla, spalle a parte. Peccato.
Ora, se è vero che – come alcuni uomini o una fascia di pubblico – hanno bisogno di infilare il naso pulito in un po’ di salsa piccante (conosco uomini che pagano prostitute part-time che arrotondano stipendi magri, così non hanno proprio l’idea di andare con una puttana) – è anche vero che le donne che pagano gli uomini per fare sesso hanno spesso desiderio di essere portate a cena e corteggiate per far sembrare quella transazione una fantasia d’amore. E chi siamo noi per giudicare?
Sta di fatto che a parte qualche immagine cinematografica o televisiva di donne ricche e spietate che usano i gigolò, io non ho mai visto uomini interpretare il ruolo di Riley in una serie tv pop.
Dicevamo che sono passati otto anni dalla produzione di The Client List, pure Netflix la tiene in piedi. Perché la giustificazione morale della prostituzione mette grandi e piccini con l’animo in pace. Trasgredire i propri principi è una cosa, travestirli e dolcificarli molto più facile.
The Client list, di Jordan Budde, con Jennifer Love Hewitt, Foxlife 2013.