Living Pakistan/ Nella Spa
Dedicato a M., che stanotte non vuole dormire, ma ascoltare storie
Islamabad, la Spa di un grande albergo, il più noto della città. Ci andiamo in molti, pakistani ed espatriati (già proprio quelli ex-patria, che cambiano paese ogni volta che cambiano lavoro o destinazione e non sanno mai come si sentono). Ha una gran bella piscina all’aperto e anche se qui fa ancora freddo, si nuota nell’acqua riscaldata; e poi ci sono la palestra, la sauna e il bagno turco, insomma tutto come da copione.
In questi non-luoghi non c’è nessuno controllo sulle modalità di comportamento: voglio dire sei laica, cristiana o musulmana, finisci sempre nello stesso spogliatoio, dove ognuna rispetta comunque la privacy dell’altra. Vuoi spogliarti nella toilette, vuoi raggiungere nuda le docce, per fortuna non ha importanza.
Pure è inevitabile osservarsi nelle reciproche differenze: come siamo vestite, se chiacchieriamo, se ce ne andiamo via in silenzio come siamo venute. Perché qui non ci sono uomini che ci guardano, non c’è il velo per quelle che lo indossano, la privacy è massima.
Ma ieri. Ieri è successo qualcosa che aggiunge un tassello al mondo in cui sto vivendo e a quello che ho lasciato a casa e a tutto quello che ci stiamo sforzando di capire.
Nello spazio dedicato al relax c’è una signora giapponese occupata a digitare sul suo smartphone: ha un asciugamano intorno al corpo e le gambe incrociate sul lettino. Io pure ho un asciugamano intorno al corpo, ho fatto il bagno turco e smaltisco la sudata. Il silenzio è quasi totale. Entra una donna pakistana, ha un vestito rosso bellissimo ed elegante; forse, penso, viene da uno dei ricevimenti per matrimoni spesso ospitati in questo albergo.
Sceglie l’unico angolo libero srotola il suo tappeto da preghiera, toglie le scarpe, mette il velo leggero sulla testa e si inginocchia a pregare. Io quasi nuda, mi sento come di invadere la sua intimità di preghiera, ma lei non fa caso a nulla: noi non siamo motivo di imbarazzo, e lei non lo è per noi. La signora giapponese è sempre in chat, io tengo gli occhi chiusi e mi godo il silenzio: la scena mi è sembrata una epifania di pacifica convivenza.
Intanto perché non si vedono quasi mai foto di donne musulmane in preghiera: in generale non possono essere fotografate oppure non vogliono farsi ritrarre. E’ una scena quotidiana, ma tant’è, oggi fanno più scalpore le nuove terroriste o le guerrigliere curde di Kobane. Poi, perché senza uomini e in quella intimità silente, corpi senza inibizioni e diffidenze dividevamo uno spazio sacro e profano, rivendicato inconsciamente come il “nostro” spazio. La nudità poco c’entrava, quanto piuttosto la libertà di fare ciò che volevamo senza temere lo sguardo dell’altra.
Non ho mai creduto che il mondo possa diventare uno spazio senza uomini, non mi piacerebbe affatto. Ma quell’angolo libero e anarchico mi ha fatto chiudere gli occhi e riposare, per qualche minuto.