Living Pakistan/ Terrorismi e propaganda

La domenica di Pasqua ha mischiato pericolosamente due accadimenti avvenuti in Pakistan con i recenti drammatici attacchi terroristici a Brussels.

Due uomini bomba a Lahore si sono fatti esplodere nei giardini pubblici di Gulshan Iqbal, uccidendo 63 persone e ferendone più di cento. Nella stessa giornata circa duemila persone si sono riversate nella strada principale di Islamabad, per un sit in di protesta davanti il parlamento. All’origine di essa la condanna a morte, eseguita a fine febbraio scorso, di Mumtaz Qadri, guardia del corpo dell’allora governatore del Punjab Salmaam Taseer, “colpevole” di voler annullare il reato di blasfemia, che nel paese è una delle 27 cause favorevoli al verdetto di morte.

La strage di Pasqua è stata rivendicata dal gruppo terrorista Jamaatul Ahrar, affiliato del più potente Tehreek-i-Taliban (TTP), come un deliberato attacco alla minoranza cristiana che stava celebrando un giorno sacro. In realtà i morti cristiani (l’appartenenza religiosa in Pakistan è dichiarata nei documenti di identità) sono stati 17. Numero che poco è importato alla stampa nazionale e internazionale, tanto che l’avvenimento è stato così bollato; allo stesso tempo chi vive in Pakistan sa bene che molti attentati terroristici di singoli  gruppi vengono abilmente strumentalizzati per alimentare il permanere di uno stato di allarme nel paese e dare via libera a “operazioni di sicurezza” da parte di esercito e polizia, a cui vengono conferiti poteri speciali, che ormai si sono trasformati in ordinari. A morire dunque nella mattina di Pasqua sono stati ahimè musulmani e cristiani, il che non sminuisce la gravità dell’evento ma favorisce il possibile ragionamento da farsi per cercare di capire il perché di tali azioni terroristiche in Pakistan. Nel paese l’ISIS non è ufficialmente presente, ma è noto che soprattutto nel nord arruola combattenti; nella paese ci sono differenti gruppi di terroristi integralisti che nel corso dell’ultimo anno hanno come target principale le forze dell’ordine e chiedono a gran voce l’approvazione della sharia da parte del parlamento.

Non è difficile per i leader di questi gruppi fare adepti e restare nell’anonimato: il livello di analfabetismo e ignoranza della popolazione colloca il Pakistan agli ultimi posti nelle graduatorie mondiali; pagare quindi gruppi di persone e portarli a manifestare (tralasciando i numeri veramente inattendibili forniti da numerose fonti di informazione locale) è cosa facile. E dopo quattro giorni di trattative e minacce, in cui la capitale è rimasta tagliata fuori da tutte le comunicazioni telefoniche, il governo ha ceduto su tutti i fronti: i rappresentanti dei partiti integralisti sono riusciti a ottenere che la legge contro la blasfemia non venga toccata, che i duecento arrestati durante i disordini anche per aver distrutto e messo fuori uso la nuovissima linea metro bus inaugurata da pochi mesi vengano messi in libertà. Stesso tono usato per le numerose proteste alla nuova legge varata in Punjab a difesa delle donne vittima di violenza e mentre ieri a Karachi una manifestazione di insegnanti che chiedevano riconoscimento di meriti e aumento di salario, vedeva una inaudita carica della polizia per disperdere i dimostranti. La sconfitta delle politiche di governo si fa in questi giorni sempre più evidente e gli elementi da tenere presenti per osservare il Pakistan nel suo ruolo di alfiere nello scacchiere internazionale sono numerosi: l’alleanza complessa con il governo americano in nome dell’eterna lotta al terrorismo afghano; la militanza integralista che massacra civili e soldati, la persecuzione delle minoranze religiose che non godono di alcuna protezione; la povertà, la minaccia nucleare, la sovrappopolazione e via dicendo.

La partita che si gioca in Pakistan fa ovviamente parte del grande scenario terroristico che sta scuotendo più di un continente, ma bollare con troppa facilità le motivazioni di stragi e attacchi non aiuta la comprensione di un fenomeno complesso e di tale portata, da rendere spesso difficile e finanche inutile coglierne i possibili nessi.